3 Giugno
Martedì 3 giugno
L’altro ieri, domenica 1° giugno, sono andata a Claino a svuotare la mia casa; ricordate? Vi dicevo che l’ho venduta a mia cugina. Ieri poi, 2 giugno, ho festeggiato la scelta repubblicana del 1946 svuotando gli scatoloni, non troppi, meno male! Per fortuna, infatti, l’ho venduta “arredata e corredata”, ma le mie cose personali quelle me le sono dovute (e volute) portare via: un mini trasloco insomma. Ma tant’è, sono quasi abituata, il che non vuole dire che non ne sia un po’ stufa; due traslochi veri e propri in quattro anni più questo mini. D’altra parte a Claino non riesco più ad andare: troppi ricordi? Aspettative deluse? O più semplicemente la scala di casa divenuta troppo faticosa? L’auto da lasciare al parcheggio? La spesa da sbarcare a piedi perché non arrivi sottocasa con la macchina e, se vuoi provare a fermarti sulla pubblica via per scaricare tre cose, in quel momento i quattro gatti della serie “non passa mai nessuno” decidono di transitare da lì proprio in quel momento? Sta di fatto che non avrei più “goduto” quel piccolo, accogliente e grazioso nido.
Questo preambolo anche per riallacciarmi all’articolo su Claino Borgo Dipinto; e vi mostro la foto del dipinto con il quale ho contribuito al progetto commissionando alla mia amica, e bravissima pittrice, Anna Rodano’, il quadro ora appeso su una parete della casa di famiglia e che lì resterà a imperitura memoria del mio affetto per questi luoghi e per il soggetto del dipinto: il cane Oliver.

Vi racconto la sua storia.
Al piano terra della casa di famiglia c’è da sempre un locale pubblico, che poi definirò meglio. Quando era bambina la mia mamma c’era un’osteria di proprietà e gestione di una sorella di mio nonno, la “zia Sunta” (Assunta). Poi ereditata da uno dei suoi figli che però l’ha sempre data in gestione; i primi “osti” furono Giovanni ed Enrica che lì abitavano con i loro figli (Marilena, Enrico, Irene, Ornella e, dopo alcuni anni, Gianluigi) con i quali, un po’ di più un po’ di meno a seconda dell’età, ho passato tante delle mie estati. Quando da Milano si andava a Claino in giornata e la stagione era ancora fredda in casa si saliva appena, l’accoglienza era sempre dalla Rica e dal Giovanni, alla “Trattoria degli Amici”: così era stato battezzato il locale. C’era un grande camino, no, non grande, grandissimo. Con le panche laterali dentro al camino stesso, lungo i suoi fianchi. Ci sedevamo lì ed era una goduria per il corpo e per lo spirito. Ora non sarebbe più possibile, non sono più edificabili camini così; ti dicono: per la sicurezza (a parte i costi).
Siamo evidentemente diventati più scemi; non ricordo infatti che nessuno si sia mai ustionato o che sia finito sulle braci ardenti. Retorica da vecchi? Può darsi; io me ne frego e resto della mia idea.
Ma torniamo alla storia.
Quando Enrica e Giovanni cessarono l’attività il locale ebbe alterne vicende, e per un po’ fu anche semplice abitazione; poi tornò alle antiche glorie e divenne ristorante. Osteria, trattoria, ristorante. Arrivò un’altra famiglia e prese un cane, Oliver appunto. Spazio ce n’era da vendere: una grande corte, una vasta e articolata proprietà dove il cane poteva aggirarsi a suo piacimento. Oliver era un cane lasciato libero e, come tale, cominciò a non limitarsi alla proprietà che, peraltro, aveva sempre i cancelli aperti. Imparò ad attraversare strade e stradoni senza essere travolto dal traffico sempre più crescente, imparò la sopravvivenza senza tornare a casa quando trovava la giusta compagnia femminile canina e aveva così, a sua insaputa, fatto nascere (oltre che sicuramente molte cucciolate) anche due schieramenti di popolazione: coloro che gli volevano bene e coloro che lo detestavano. E naturalmente entrambe gli schieramenti si comportavano di conseguenza: chi gli dava da mangiare e chi botte.
Un bel giorno, quando decisi di mettere su casa da sola alla tenera età di cinquant’anni, andai ad abitare nella mia casa di Claino e cominciai a prendermi cura di Oliver. Lavoravo ovviamente, ma quando tornavo a casa lui mi aspettava, andavamo a fare una passeggiata, ci facevamo le coccole e lui smise di essere un cane “randagio”. Ho un giardinetto a Claino, sotto casa; c’è anche un bel portico e lì gli misi due cucce: una a forma di casetta con un bel materassino, l’altra di stoffa, ma scoperta. E poi il giardino tutto a sua disposizione. Così Oliver poteva scegliere dove mettersi: insomma un “canile” a 5 stelle. Cibo e acqua assicurati e anche un bel bagnetto all’occorrenza.
Oliver era un cane strano nella forma – solo Dio sa quante razze si erano incrociate in lui! – ma buonissimo. Dopo un paio d’anni si ammalò e non ci fu nulla da fare. Mentre ero a Porlezza a fare il Presidente di seggio mi arrivò la telefonata dai miei vicini: nel giardinetto dove aveva vissuto bene gli ultimi anni della sua vita, Oliver se n’era andato. Mi presi la pausa al seggio e corsi a casa; anche se per lui non potevo fare più nulla dovevo andare e ancora mi commuove ricordare il momento in cui lo vidi. Lo feci seppellire nel giardinetto che lui, dipinto sul quadro appeso sulla parete esterna della casa, continua a guardare. Ed io ripenso con gioia di avergli regalato un po’ di felicità, sicuramente meno di quanta ne abbia regalata lui a me.
Ho avuto tanti cani, ma Oliver è stato speciale.
Se ci fate caso il “dominio” del blog è: blackoliver; racchiude i nomi dei due cani che per me sono stati speciali. Ma di Black vi racconto un’altra volta.