CONVENZIONI di GINEVRA
Le convenzioni di Ginevra consistono in una serie di trattati internazionali sottoscritti per la maggior parte a Ginevra, in Svizzera. Esse costituiscono, nel loro complesso, un corpo giuridico di diritto internazionale, noto anche sotto i nomi di diritto di Ginevra, diritto delle vittime di guerra e diritto internazionale umanitario.
L’impulso iniziale alla stipula di tali convenzioni venne dall’attività di Jean Henri Dunant, motivato dagli orrori di guerra da lui osservati durante le battaglia di Solferino e San Martino (24 giugno 1859) e descritte nell’opera Un ricordo di Solferino, destinata ai sovrani di tutta Europa.
Le Convenzioni proteggono le associazioni umanitarie, come la Croce Rossa, che si trovino a prestare servizio in territorio di guerra, e assicurano il rispetto del personale civile e di quello medico non coinvolto negli scontri. Questo non è un caso: Dunant è proprio colui che ha fondato la Croce Rossa e proprio in conseguenza degli orrori visti durante la battaglia di Solferino.
Dal 1864 ad oggi, sono state sottoscritte numerose Convenzioni di Diritto internazionale umanitario: ognuna delle successive prevede l’ampliamento ed il completamento delle precedenti, ovvero la loro sostituzione. La prima convenzione fu adottata il 22 agosto 1864 a Ginevra, in Svizzera, dai rappresentanti di 11 governi Europei (Svizzera, Baden-Württemberg, Belgio, Danimarca, Spagna, Portogallo, Francia, Assia, Italia, Paesi Bassi, Prussia) + gli Stati Uniti. Gli USA furono l’unico stato non europeo a partecipare alla Conferenza; però ratificarono tale Convenzione solo il 1º marzo 1882.
L’opera di Clara Barton fu fondamentale per la ratifica della prima Convenzione di Ginevra da parte degli Stati Uniti.
Se 12 erano state le nazioni firmatarie della 1^ Convenzione, al momento della Quarta Convenzione, le nazioni che le avevano ratificate erano 47.
Le convenzioni antecedenti la seconda guerra mondiale erano sei:
- Convenzione per il miglioramento delle condizioni dei militari feriti in guerra, Ginevra, 22 agosto 1864 (abrogata dalla Convenzione del 1906)
- Convenzione per il miglioramento della sorte dei feriti e malati negli eserciti di campagna, Ginevra, 6 luglio 1906 (abrogata dalla Convenzione del 1929)
- Convenzione per l’adattamento alla guerra marittima dei principi della Convenzione di Ginevra del 1906, L’Aja, 18 ottobre 1907 (abrogata dalla II Convenzione del 1949)
- Convenzione del 25 aprile 1926 concernente le schiavitù
- Convenzione per il miglioramento della sorte dei feriti e malati negli eserciti di campagna, Ginevra, 27 luglio 1929 (abrogata dalla I Convenzione del 1949)
- Convenzione sul trattamento dei prigionieri di guerra, Ginevra, 27 luglio 1929 (abrogata dalla III Convenzione del 1949).
LE CONVENZIONI IN VIGORE
Nel corso del XX secolo, con il mutare dello scenario internazionale, sono state realizzate nuove convenzioni ed integrazioni a quelle già sottoscritte.
Il 12 agosto 1949 furono adottate quattro convenzioni, destinate a sostituire tutto il corpo giuridico preesistente in materia.
- I^ Convenzione per il miglioramento delle condizioni dei feriti e dei malati delle Forze armate in campagna, Ginevra, 12 agosto 1949
- II^ Convenzione per il miglioramento delle condizioni dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle Forze armate sul mare, Ginevra, 12 agosto 1949
- III^ Convenzione sul trattamento dei prigionieri di guerra, Ginevra, 12 agosto 1949
- IV Convenzionesulla protezione delle persone civili in tempo di guerra, Ginevra, 12 agosto 1949
61 Stati ratificarono queste quattro Convenzioni favorendone la successiva ratifica da parte di altri Stati.
Il processo di decolonizzazione e l’estendersi dei conflitti asimmetrici (situazioni di conflitto armato tra due o più soggetti o gruppi le cui forze militari differiscono in modo significativo) condusse all’integrazione delle Quattro Convenzioni di Ginevra mediante due Protocolli Aggiuntivi, adottati sempre a Ginevra l’8 giugno 1977:
- I° protocollo aggiuntivo relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali.
- II° protocollo aggiuntivo relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali.
Poiché la sottoscrizione e la ratifica di questi due protocolli ha incontrato forti opposizioni, specie fra le grandi potenze, le norme ivi contenute non hanno per il momento assunto valenza di diritto internazionale consuetudinario** (Fonte di diritto costituita dalla ripetizione costante di un determinato comportamento da parte della generalità dei soggetti, accompagnato dalla convinzione della sua obbligatorietà giuridica).
Infine, a causa di recenti avvenimenti che, in alcuni paesi, hanno coinvolto in atti di violenza le strutture della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, è stato ultimamente adottato un terzo protocollo aggiuntivo, che prevede l’uso, da parte delle organizzazioni internazionali umanitarie, di un simbolo non collegato né confondibile con una qualsiasi confessione religiosa:
• III° protocollo aggiuntivo relativo all’adozione di un emblema distintivo aggiuntivo, Ginevra, 8 dicembre 2005
Il bracciale sanitario internazionale
La 1ª e 2ª convenzione di Ginevra introdussero, il 12 agosto 1949, il bracciale sanitario internazionale per il personale sanitario, da indossare nei limiti e nelle forme indicate dalle citate convenzioni. Esso consiste in una fascia di tela bianca dell’altezza di 10 cm, sulla quale è cucita una croce di panno rosso.
La violazione, da parte del personale che lo indossa, delle condizioni sotto le quali le convenzioni internazionali accordano la protezione, qualora non configurabili come reato, costituiscono comunque grave infrazione disciplinare. Il bracciale si indossa solo con le uniformi da combattimento, di servizio e derivate su entrambe le maniche al di sopra del gomito.
Diritto internazionale umanitario
Il diritto internazionale umanitario (DIU) noto anche come diritto bellico o diritto dei conflitti armati è l’insieme delle norme di diritto internazionale che riguarda la protezione delle cosiddette vittime di guerra o vittime dei conflitti armati.
Sono considerati vittime di guerra tutte le persone che non hanno mai partecipato ai combattimenti o che hanno cessato di parteciparvi.
Dai titoli delle quattro Convenzioni di Ginevra è agevole risalire alle specifiche categorie, che sono: la popolazione civile, i feriti, i naufraghi, gli ammalati, i caduti, i prigionieri di guerra.
In seguito all’ampliamento del concetto di vittima dei conflitti armati la definizione è stata estesa, mediante specifiche Convenzioni internazionali, anche ad oggetti diversi dalle persone, e precisamente: ai beni culturali e all’ambiente.
Il DIU costituisce una parte molto importante del diritto internazionale pubblico e include le regole che, in tempo di conflitto armato, proteggono le persone sopra elencate e pongono limiti all’impiego di armamenti, mezzi e metodi di guerra.
La base fondamentale del diritto umanitario è di tipo pattizio (cioè si basa su accordi stipulati liberamente tra gli Stati, i quali si impegnano a non violarne le disposizioni e si colloca al di sopra degli Stati e dei loro rispettivi ordinamenti giuridici interni). **
Per molte di queste norme la Corte internazionale di giustizia, ha dichiarato che “un gran numero di regole del diritto umanitario applicabile nei conflitti armati sono così fondamentali per il rispetto della persona umana” e per delle “considerazioni elementari di umanità”, che esse “si impongono … a tutti gli Stati, che essi abbiano o meno ratificato gli strumenti convenzionali che le esprimono, poiché costituiscono principi inviolabili del diritto internazionale consuetudinario”. La normativa è attualmente costituita dalle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai successivi due Protocolli aggiuntivi del 1977 e dal terzo Protocollo del 2005 che introduce l’adozione di un segno distintivo addizionale comunemente chiamato “Cristallo rosso”.
Comprende anche il cosiddetto diritto bellico, che tratta dei doveri comportamentali dei combattenti in un conflitto e dei mezzi e metodi di guerra. Per questo motivo è anche definito come ius in bello, ovvero le regole che, in caso di conflitto armato, devono indirizzare la condotta delle operazioni belliche.
Ad esso vanno aggiunti: 1) la Convenzione Aja del 16 aprile 1954, in materia di protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, 2) la Convenzione di Ottawa del 1997 sull’eliminazione delle mine antipersona, 3) le convenzioni in materia di divieto di uso di armi indiscriminanti e di modifica ambientale.
Il diritto internazionale umanitario vieta o limita lo sviluppo, la detenzione e l’uso di determinate armi; precisamente:
- armi che portano inevitabilmente alla morte,
- armi che provocano ferite o sofferenze inutili
- armi che non possono essere dirette contro un obiettivo militare determinato o il cui effetto non può essere limitato conformemente alle disposizioni del diritto internazionale umanitario d)
- armi che causano danni gravi, estesi e persistenti all’ambiente naturale.
Sulla base di questi quattro criteri gli accordi internazionali vietano esplicitamente molti tipi di armi, tra i quali rientrano le mine antiuomo, le munizioni a grappolo, le armi laser accecanti, i proiettili Dum-Dum come pure le armi biologiche e quelle chimiche. Alcuni di questi divieti sono ormai parte integrante del diritto internazionale consuetudinario.
L’impiego di armi nel contesto di un conflitto armato è soggetto ai limiti delle regole e dei principi fondamentali del diritto internazionale umanitario, che prescrive inoltre quali misure devono essere prese per contenere le ripercussioni delle ostilità sulla popolazione e sui beni civili. Le regole principali del diritto umanitario internazionale relative all’uso di armi sono:
- l’obbligo di distinguere tra beni civili e obiettivi militari
- il divieto di condurre attacchi indiscriminati
- l’obbligo di rispettare il principio della proporzionalità
- l’obbligo di prendere le precauzioni necessarie per limitare il più possibile gli effetti di un attacco sulla popolazione civile
Queste norme fanno parte del diritto internazionale consuetudinario e pertanto si applicano a tutte le parti in conflitto, Governi o gruppi armati non statali che siano, indipendentemente dal fatto che uno Stato abbia o meno aderito a un trattato internazionale in questo ambito.
Per concludere questa parte si può riassumere quanto sopra esposto dicendo che Il Comitato Internazionale della Croce Rossa intende per diritto internazionale umanitario applicabile nei conflitti armati l’insieme dei trattati internazionali o delle regole consuetudinarie che sono specificamente tesi a risolvere le questioni di carattere umanitario direttamente causate da conflitti armati, di natura sia internazionale che interna; per motivi umanitari queste regole limitano il diritto delle parti in conflitto nella scelta dei mezzi o metodi di combattimento e proteggono le persone e i beni coinvolti, o che rischiano di rimanere coinvolti, nel conflitto.
Ora ci allontaniamo dalla CR per entrare nel vivo del corpo giuridico, pur tenendo sempre presente che tutto ha avuto origine con la nascita della Croce Rossa.
Per prima cosa dobbiamo introdurre la CORTE PENALE INTERNAZIONALE
La Corte penale internazionale (in inglese: International Criminal Court – ICC, in francese: Cour pénale internationale – CPI) è un tribunale per crimini internazionali che ha sede all’Aia, nei Paesi Bassi.
La sua competenza è limitata ai crimini più seri che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme, cioè il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra (cosiddetti crimina iuris gentium), e di recente anche il crimine di aggressione (art. 5, par. 1, Statuto di Roma).
Lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, spesso chiamato anche Statuto della Corte penale internazionale o, a volte, Statuto di Roma, è il trattato internazionale istitutivo della Corte penale internazionale. Definisce i principi fondamentali, la giurisdizione, la composizione e le funzioni degli organi dell’organizzazione internazionale, nonché i rapporti con le Nazioni Unite, con le organizzazioni intergovernative, internazionali e non governative, l’istituzione e le funzioni dell’Assemblea degli Stati Parte.
LA CONFERENZA DI ROMA
Durante la cinquantaduesima sessione l’Assemblea generale delle Nazioni Unite decise di convocare una conferenza diplomatica dei plenipotenziari per la creazione della Corte Penale Internazionale che si svolse a Roma * dal 15 giugno al 17 luglio 1998 per definire la convenzione, sotto la presidenza del professor Giovanni Conso.
La conferenza ebbe luogo nel Palazzo FAO all’Aventino* e il costo – di circa sei miliardi di lire – fu sostenuto dal governo italiano. Una cinquantina di Stati si era attestata su una sorda resistenza, ma nell’ultima settimana una mobilitazione di organizzazioni civili culminò in una fiaccolata (guidata dal presidente del consiglio allora in carica, Romano Prodi, e dall’allora sindaco di Roma Francesco Rutelli) che dal Campidoglio giunse al Circo Massimo per consegnare al rappresentante del segretario generale dell’ONU (Hans Corell) la petizione per una conclusione positiva della conferenza.
Questa avvenne all’Aventino con l’approvazione del testo da parte del comitato dell’Assemblea, nella notte del 17 luglio 1998, seguita dalla votazione dell’Assemblea in seduta plenaria: risultarono i voti favorevoli di 120 stati, contro sette voti contrari e ventuno astensioni.
La conseguente sua apertura alla firma avvenne il 18 luglio 1998 nella sala della Protomoteca del Campidoglio di Roma.
Le progressive ratifiche dello statuto hanno consentito di raggiungere il quorum fissato dall’art. 126 (60 ratifiche) quattro anni dopo la conferenza di Roma: in virtù di questa norma il testo è quindi entrato in vigore il 1º luglio del 2002.
La Corte ha una competenza complementare a quella dei singoli Stati, dunque può intervenire se e solo se gli Stati non possono (o non vogliono) agire per punire crimini internazionali.
La Corte penale internazionale non è un organo dell’ONU e non va confusa con la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite, anch’essa con sede all’Aia. Ha però alcuni legami con le Nazioni Unite: ad esempio il Consiglio di Sicurezza ha il potere di deferire alla Corte situazioni che altrimenti non sarebbero sotto la sua giurisdizione (art. 13 c.b, Statuto di Roma).
Le origini della Corte Penale Internazionale sono da far risalire al periodo della seconda guerra mondiale, quando vennero istituiti dei tribunali militari internazionali. Il primo fu chiamato a giudicare i capi nazisti nel Processo di Norimberga, mentre il secondo era quello del Processo di Tokyo. Come tribunali militari, la loro competenza giurisdizionale si limitava ai crimini di guerra. Il tribunale di Norimberga, durante gli anni, ha pronunciato diverse sentenze, ampliando l’ambito di giurisdizione inserendovi, oltre ai crimini di guerra, anche i crimini contro l’umanità e contro la pace.
La campagna per l’istituzione della Corte Penale Internazionale fu poi ripresa e rilanciata negli anni novanta da una coalizione di 300 organizzazioni non governative, tra le quali l’organizzazione “Non c’è pace senza giustizia” appartenente alla galassia radicale italiana.
Contemporaneamente l’Assemblea generale dell’ONU varò il progetto di formulare un codice sui crimini e uno statuto per la Corte Penale Internazionale. Il 9 dicembre 1994, l’Assemblea generale creava un apposito comitato preparatorio che riprese il progetto elaborato precedentemente dalla Commissione di diritto internazionale, approfondendone gli aspetti più controversi e sviluppandone i profili più complessi anche alla luce della codificazione dei crimini internazionali avvenuta negli statuti e successive modifiche dei primi tribunali ad hoc. Le pressioni da parte dell’ONU di terminare il progetto di realizzazione, infatti, si fecero più pesanti durante il 1993-1994, proprio perché erano stati istituiti dei tribunali ad hoc per la questione di ex-Jugoslavia e Ruanda.
Ed ecco appunto che arriviamo al 1996, quando conclusi i lavori della commissione, l’Assemblea delle nazioni unite convocava a Roma (vedi sopra *) una conferenza diplomatica dei plenipotenziari degli Stati per l’istituzione di una corte penale internazionale.
La Corte ha iniziato le proprie attività nel 2002 con un piccolo gruppo di quattro persone, detto “advanced team” che aveva il compito di renderla operativa; si è poi ampliata a uno staff non superiore alle trenta unità, che lavoravano negli ex uffici della compagnia telefonica olandese KPN, con altre organizzazioni internazionali e con distaccamenti del Ministero olandese.
Il primo nucleo operativo è stato dapprima ampliato con l’elezione dei diciotto giudici, la nomina del presidente Philippe Kirsch e del cancelliere Bruno Cathala, che aveva guidato l’advanced team a partire dall’estate del 2002, e successivamente con l’elezione del procuratore capo Luis Moreno-Ocampo .
Il 13 settembre 2004 le è stato riconosciuto lo status di osservatore dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Il primo imputato di questo organo giudiziario è stato il congolese Thomas Lubanga il cui processo è iniziato il 26 gennaio del 2009.
I processi successivi hanno riguardato i presunti responsabili dei crimini commessi nella Repubblica Democratica del Congo, nella Repubblica Centrafricana, in Uganda, nel Darfur (Sudan) e più di recente in Kenya, in Libia, in Costa d’Avorio, in Mali, in Georgia ed infine in Burundi.
Il diritto internazionale penale è una branca del diritto internazionale volta a proibire e sanzionare un crimine ritenuto tale a livello internazionale.
Quale requisito di perseguibilità, a differenza dei delitti internazionali (che restano nell’esclusivo ambito della responsabilità collettiva dello Stato, di cui l’autore è rappresentante), per questi gravissimi crimini (contro la pace, contro l’umanità, di guerra, genocidi) la comunità internazionale chiama direttamente gli autori a risponderne.
Ecco l’aggancio con il DIU e prendiamo in esame i crimini che lo violano e i diritti da esso sanciti:
- Crimine di aggressione
- Crimine di guerra
- Diritto di asilo
- Diritto bellico
Crimine di aggressione
Il crimine di aggressione è uno dei crimini su cui la Corte Penale Internazionale esercita giurisdizione in base a quanto stabilito dallo Statuto di Roma, e dagli emendamenti di Kampala del 2010, entrati in vigore a partire dal 17 giugno 2018: essi furono adottati dopo che la definizione di questo crimine è stata oggetto di molte revisioni, riunioni di alto livello, conferenze di esperti e sessioni dell’Assemblea degli Stati Parte.
Con l’entrata in vigore degli emendamenti di Kampala, si completa l’attuazione del principio di diritto internazionale penale per il quale individui considerati responsabili per crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio, gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra e crimine di aggressione sono soggetti ad una giurisdizione che, nel caso degli Stati parte dello Statuto di Roma, consiste nell’azione sovranazionale della Corte Penale Internazionale (CPI).
Storia
Mentre gli altri crimini ricadenti nella giurisdizione della CPI (crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra) erano già definiti all’interno dello Statuto di Roma e degli Elements of Crimes (traducibile in modo un po’ approssimativo: Codice dei Crimini) al momento della sua firma (e quindi sono in vigore dal momento della ratifica), per il crimine di aggressione la questione è risultata un po’ più complessa. Gli Stati Parte hanno infatti ratificato lo Statuto di Roma ‘sulla fiducia’ per quanto riguarda il crimine di aggressione: la CPI avrebbe avuto giurisdizione sui crimini summenzionati e sul ‘crimine di aggressione (quando fosse stato definito)’.Dopo varie Sessioni Preparatorie internazionali presso le Nazioni Unite, otto Sessioni Plenarie dell’Assemblea degli Stati Parte (ASP), varie conferenze e incontri internazionali di alto livello, è stato costituito un ‘Gruppo di Lavoro per la definizione del crimine di aggressione’ le cui conclusioni e reports sono state discusse in una Conferenza di Revisione, tenutasi a Kampala in Uganda dal 31 maggio all’11 giugno 2010.
Definizione
Dopo gli antefatti definitori tentati dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il primo sintagma (ordinamento) normativo cogente (che determina un obbligo inderogabile) è quanto deciso dalla Conferenza di revisione sullo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale che si è svolta a Kampala, Uganda, in seguito alla decisione, adottata il 26 novembre 2009, dell’ottava sessione plenaria dell’ASP(Assemblea degli Stati Parte). Per esso il crimine di aggressione è il crimine che prevede “la pianificazione, la preparazione, l’inizio o l’esecuzione, da parte di una persona in grado di esercitare effettivamente il controllo o di dirigere l’azione politica o militare di uno Stato, di un atto di aggressione che, per il suo carattere, gravità e portata, costituisce una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite”.
Proseguendo nella «transizione del diritto internazionale, dallo ius ad bellum (legittime ragioni di uno Stato per intraprendere una guerra) allo ius contra bellum (il diritto che proibisce il ricorso alla forza tra gli Stati)», si intende ribadire che “la vera soluzione dei conflitti è riconoscere a organismi sovranazionali un potere che impedisca le violazioni della dignità delle persone e delle comunità, sia delle minoranze dentro gli Stati sia tra gli Stati. Chiunque commette un crimine contro le persone o contro le comunità non può ritenersi impunibile”.
Entrata in vigore
Il crimine è stato dunque definito ma le modifiche statutarie non potevano entrare in vigore fino a che 30 stati parte non avessero ratificato le modifiche e fino a che l’Assemblea degli Stati Parte – sostenuta da un voto favorevole di almeno due terzi dei componenti, a partire da una qualunque data successiva al 1º gennaio 2017 – non avesse deciso di attivare la giurisdizione così creata.
Il 17 luglio 2018 ambedue le condizioni si sono verificate e la nuova giurisdizione è stata creata. Il percorso delle ratifiche degli emendamenti di Kampala non si è fermato e nel 2021 le adesioni erano giunte a 42 Stati, tra cui, dal 10 novembre 2021, anche l’Italia.
Crimine di guerra
DEFINIZIONE: Un crimine di guerra è una violazione punibile, a norma delle leggi e dei trattati internazionali, relativa al diritto bellico da parte di una o più persone, militari o civili. Ogni singola violazione delle leggi di guerra costituisce un crimine di guerra.
I crimini di guerra comprendono (nella maggioranza delle interpretazioni) le violazioni delle protezioni stabilite dalle leggi di guerra ed anche il mancato rispetto delle norme e delle procedure di combattimento, come ad esempio l’attaccare quanti espongono una bandiera bianca indicante un cessate il fuoco o l’uso truffaldino della stessa bandiera bianca per dissimulare la condizione bellica, preparare e dare inizio ad un attacco. Viene tutelato anche l’uso dei segni distintivi della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa Internazionale e degli altri segni protettivi.
Comprendono anche gli altri atti contrari al diritto internazionale umanitario, quali il maltrattamento dei prigionieri di guerra o dei civili, sanciti dalle Convenzioni di Ginevra.
Le Convenzioni di Ginevra stipulate prima del 1949 stabilivano per la prima volta una base giuridica del diritto internazionale per quanto riguarda la condotta durante la guerra. Non tutti i paesi firmatari del trattato tuttavia si erano impegnati a mantenere i valori da esso enunciati durante la condotta di guerra, anzi alcuni di essi hanno sistematicamente violato le Convenzioni di Ginevra sfruttando le ambiguità del diritto o eseguendo delle manovre politiche per sottrarsi alle leggi.
Ecco alcuni precedenti storici
Germania
Durante la seconda guerra mondiale la Wehrmacht e le Waffen SS commisero crimini di guerra spesso durante le epurazioni polacche e degli altri paesi annessi o conquistati come Jugoslavia, Ungheria e Francia rastrellando le città per internare come forza lavoro o sterminare i residenti opposti al regime nazista. Inoltre la direzione delle SS si rese attivamente partecipe al piano di genocidio degli ebrei attraverso l’utilizzo di campi di sterminio ed al programma di soppressione forzata dei disabili ed altre minoranze.
Giappone
L’esercito imperiale giapponese si macchiò di gravissimi crimini contro civili e prigionieri di guerra soprattutto cinesi durante la seconda guerra cino-giapponese, proseguendo nel più ampio teatro della seconda guerra mondiale.
Italia
I crimini di guerra compiuti dall’esercito italiano sono individuabili in due periodi storici: l’epoca colonialista e la seconda guerra mondiale.
Durante gli anni del colonialismo italiano si segnalano vari crimini in diversi paesi africani assoggettati all’Italia, andando dalle deportazioni, rappresaglie ed esecuzioni sommarie nella Libia italiana subito dopo la cessione da parte dei turchi, sconfitti nella guerra italo-turca, fino alla guerra per la conquista dell’Etiopia nell’ambito del progetto imperiale fascista, con utilizzo di armi chimiche e repressione dei civili.
Durante la seconda guerra mondiale invece furono segnalate fucilazioni di civili, saccheggi e violenze nei campi di prigionia in Grecia e nei paesi balcanici, pattugliati da truppe italiane dopo l’occupazione nazifascista. Nonostante le scarse informazioni, diversi casi di atrocità sono registrati anche durante la campagna di Russia italo-tedesca, seppur con intensità molto inferiore all’alleato germanico.
Repubblica Jugoslava
I crimini di guerra jugoslavi sono stati quegli atti contrari ai trattati e alla giurisprudenza di guerra, nazionale o internazionale, e considerati crimini di guerra commessi dalle forze armate o paramilitari jugoslave. Questi atti si compirono sin dalla costituzione del primo regno unitario, il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni evolutosi poi in Regno di Jugoslavia, e comprendendo gli atti compiuti dall’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia, durante la seconda guerra mondiale, senza soluzione di continuità con la successiva Jugoslovenska narodna armija, che venne sciolta il 20 maggio 1992; questa eredità fu raccolta dalle forze armate della nuova Federazione Jugoslava a cui vanno aggiunti gli atti compiuti da formazioni paramilitari, o regolari, di repubbliche autonome autoproclamatesi ed esistenti nel territorio della ora disciolta Federazione, come ad esempio la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina.
Stati Uniti d’America
I crimini di guerra statunitensi sono delle violazioni del diritto bellico avvenuti durante la seconda guerra mondiale per mano di soldati dell’esercito statunitense. Gli eventi descritti in seguito sono violazioni dei trattati, firmati anche dagli Stati Uniti, quali principalmente le convenzioni di Ginevra e delle convenzioni dell’Aia del 1907..
Unione Sovietica
Per crimini di guerra sovietici si intendono quei crimini perpetrati dalle forze armate dell’Unione Sovietica dal 1919 al 1991, inclusi gli atti commessi dall’esercito regolare – prima Armata Rossa, poi successivamente denominata Esercito sovietico – così come quelli commessi dal NKVD (Comitato per la sicurezza dello Stato), incluse le truppe interne al NKVD. In alcuni casi, questi crimini possono essere stati commessi su ordini diretti – come parte della politica del primo governo sovietico del terrore rosso. In altri casi sono stati commessi dalle truppe dell’Esercito regolare come punizione contro militari e civili dei paesi in guerra con l’URSS nella seconda guerra mondiale, o con coloro che furono coinvolti in movimenti di liberazione nazionale.
L’attuale governo russo è stato più volte accusato di revisionismo e negazionismo storico. I media russi si riferiscono ai crimini di guerra come “un mito occidentale”; nei libri di testo di storia in Russia, i crimini sono stati modificati per rappresentare i sovietici in modo positivo od omessi del tutto. In un’intervista del giugno 2017, il presidente russo Vladimir Putin ha riconosciuto gli “orrori dello stalinismo”, ma ha anche criticato l'”eccessiva demonizzazione di Stalin” da parte dei “nemici della Russia”.
Diritto di asilo
Il diritto di asilo (identificato spesso anche con il concetto di asilo politico in greco) è un’antica nozione giuridica, in base alla quale una persona perseguitata nel suo paese d’origine può essere protetta da un’altra autorità sovrana, un paese straniero, o un santuario religioso (come nel medioevo).
Questo diritto ha le sue radici in una lunga tradizione occidentale, anche se era stato già riconosciuto da Egiziani, Greci, Romani ed Ebrei. Tutti gli stati, in qualsiasi epoca, hanno offerto protezione e immunità a stranieri perseguitati.
Con il termine Asylum era indicata in età protostorica la depressione del Campidoglio posta tra l’Arx e il Capitolium propriamente detto, dove oggi è l’attuale piazza del Campidoglio. Il nome Asylum sarebbe da ricondurre alla leggenda di Romolo: sarebbe stato questo il luogo in cui, a chiunque lo avesse raggiunto, la nuova città avrebbe garantito accoglienza e protezione (o dato “asilo”). Presso i Romani il diritto di asilo era esteso anche agli schiavi.
Il diritto d’asilo è un’antica nozione giuridica secondo la quale una persona perseguitata nel proprio paese per via delle proprie opinioni politiche o credenze religiose, poteva ricevere protezione da parte di un’altra autorità sovrana, come un altro Stato o una Chiesa.
Questo diritto ha dunque radici antiche nella tradizione occidentale — anche se era già riconosciuto dagli antichi Egizi, Greci (per i quali era anche una consuetudine di ospitalità), Romani ed Ebrei. Per esempio, Cartesio ricevette asilo nei Paesi Bassi, Voltaire in Inghilterra e Hobbes in Francia (assieme a molti nobili inglesi durante la Guerra Civile Inglese).
La Francia fu il primo paese a riconoscere in via generale e astratta il diritto all’asilo, sancito dall’articolo 120 della Costituzione del 1793. Per tutto l’Ottocento ed il Novecento gli oppositori degli assolutismi monarchici, presenti in Europa, si giovarono del diritto francese di non estradare gli stranieri perseguitati per reati d’opinione; se ne valsero anche molti anarchici, almeno fino a quando Parigi non si impegnò a partecipare alle azioni di contrasto contro le loro azioni terroristiche.
Il moderno diritto d’asilo francese è riconosciuto dalla Costituzione del 1958, laddove rinvia al paragrafo 4 del preambolo della Costituzione del 1946 (che incorporava parti della Costituzione del 1793 che garantivano il diritto di asilo a “chiunque fosse perseguitato a causa della sua azione per la libertà” e che non è in grado di ottenere protezione nel paese d’origine).
Numerosi esuli dalle dittature sudamericane furono oggetto di asilo in Francia negli anni ’70 ed ’80, così come fu accordata la medesima protezione nel caso in cui il tribunale riconoscesse la natura di reato politico del crimine per il quale era richiesta l’estradizione. Lungo questo crinale, per oltre un ventennio la Francia divenne uno dei paesi più ospitali per i terroristi di sinistra, specialmente italiani, in base alla dottrina Mitterrand (1985).
Lo sviluppo del terrorismo politico di estrema sinistra, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, vide così molti fuggitivi preferire la Francia al tradizionale asilo nei paesi del Patto di Varsavia, in cerca di “santuari”, luoghi dove potersi riprendere da ferite, cambiare identità, cercare alleanze.
Vi sono tuttavia anche altri paesi che concedono facilmente asilo ad autori di reati politici.
Disciplina normativa internazionale
Hanno diritto di asilo i “rifugiati“, come definiti sin dai tempi antichi nel diritto delle genti.
Quello di “rifugiato” è uno status attualmente riconosciuto, secondo il diritto internazionale (art. 1 della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951), a chiunque si trovi al di fuori del proprio paese e non possa ritornarvi a causa del fondato timore di subire violenze o persecuzioni. Il riconoscimento di tale status giuridico è accordato dai governi che hanno firmato i seguenti accordi – nell’ambito delle Nazioni Unite, ma anche all’interno delle previsioni di specifici trattati regionali – o dall’UNHCR (United Nations High Commisioner for Refugees) secondo la definizione contenuta nel proprio statuto.
La Convenzione di Ginevra del 1951 e il Protocollo del 1967 sono alla base del diritto internazionale del rifugiato. Secondo la Convenzione, un rifugiato è un individuo che ha fondato motivo di temere la persecuzione a motivo della sua:
- discendenza,
- religione,
- nazionalità,
- appartenenza a un particolare gruppo sociale,
- opinione politica;
- si trova al di fuori del suo paese d’origine; e
– a) non può o non vuole avvalersi della protezione di quel paese,
– b) non può o non vuole ritornarvi, per timore di essere perseguitato.
Diritto bellico
Il diritto bellico, identifica l’insieme delle norme giuridiche (sia a livello nazionale sia internazionale) che disciplinano la condotta delle parti in una guerra.
Consiste in regole che limitano e regolamentano i cosiddetti “mezzi e metodi di guerra”, cioè le armi e le procedure per il loro impiego. I militari e le persone che infrangono le leggi di guerra perdono le protezioni accordate dalle norme stesse.
Storia
Nel diritto romano, la dichiarazione di guerra avveniva secondo il rito officiato dai Feziali – Collegio Sacerdotale dell’antica Roma i cui membri, scelti tra i patrizi (e solo più tardi anche tra i plebei)provvedevano alle dichiarazioni di guerra e stipulavano i trattati di pace – . L’investitura sacra del bellum conferiva il diritto del vincitore a depredare i beni del nemico (praeda bellica), a ridurre i superstiti in schiavitù e a uccidere in caso di necessità (iure caesus). Quest’ultimo diritto fu ufficializzato nelle Leggi delle XII tavole, che disponevano anche l’obbligo di saldare un debito fra privati entro il termine perentorio di trenta giorni. In alcuni conflitti, l’applicazione di tale norma fu estesa anche al pagamento dei debiti di guerra fra Stati sovrani.
Dopo la Seconda guerra mondiale l’attenzione del diritto internazionale si è spostato dal comportamento dei combattenti ai diritti delle cosiddette vittime di guerra. Si è così formata una nuova partizione del Diritto internazionale umanitario, per il quale hanno particolare rilevanza le Convenzioni di Ginevra. Quest’ultimo consiste nell’enunciazione dei diritti di chi non è combattente: feriti, malati e naufraghi, prigionieri, popolazione civile.
Ambito di applicazione
Spie e terroristi non sono protetti né dalle leggi di guerra né dal diritto umanitario; essi sono soggetti, per le loro azioni, alle leggi ordinarie (se ne esistono). Ricadendo al di fuori del loro ambito, le leggi di guerra non approvano né condannano atti di tortura o condanne a morte nei confronti di spie e terroristi, che nella pratica risultano un’eventualità tutt’altro che rara. Gli Stati che hanno firmato la Convenzione internazionale sulla tortura si sono impegnati, tra l’altro, a non torturare i terroristi catturati.
La linea di confine quindi si sposta sulla qualificazione della situazione di conflitto armato, che non è sempre coincidente con la guerra (tanto che si parla sempre meno di diritto bellico e sempre più di diritto dei conflitti armati): l’equiparazione contenuta nelle più recenti convenzioni internazionali di diritto umanitario applicabili ai conflitti armati, infatti, riceve conferma nella tipologia dei crimini di guerra prevista dall’articolo 8 dello Statuto di Roma istitutivo della Corte Penale Internazionale, la quale enuncia assai puntualmente il seguente ambito dei fenomeni che costituiscono conflitti armati: “i conflitti armati internazionali; i conflitti interni tra gruppi di persone organizzate, che si svolgano con le armi all’interno del territorio dello Stato, e raggiungano la soglia di una guerra civile o di insurrezione armata; i conflitti interni prolungati tra le Forze armate dello Stato e gruppi armati organizzati o tra tali gruppi”.
Sono escluse comunque dai conflitti interni “le situazioni interne di disordine o di tensione, quali sommosse o atti di violenza isolati e sporadici e altri atti analoghi”, che ricadono sotto il diritto penale interno degli Stati]: significativo è – per tale qualificazione – il comportamento degli stessi Stati, che se riconoscono qualifica di combattenti legittimi ai loro antagonisti implicitamente o esplicitamente considerando loro soggetti di diritto nella veste di insorti.
Caratteristiche generali
Le fonti sono oggi rappresentate, oltre che dalle normative nazionali dei vari stati anche e soprattutto dalle convenzioni internazionali: fondamentali sono al riguardo le Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907, che peraltro costituiscono prevalentemente codificazione del preesistente Diritto consuetudinario, e la Terza convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra.
Secondo tali convenzioni i prigionieri di guerra sono in potere del governo nemico, ma non degli individui o dei corpi che li hanno catturati, e devono essere trattati con umanità. Lo status di prigioniero di guerra e le tutele che ne derivano si acquisiscono dal momento stesso in cui si cade in potere del nemico, e sino alla liberazione e al rimpatrio definitivi.
Il diritto bellico regola tra l’altro le modalità di sospensione o cessazione dei combattimenti, e cioè: resa, armistizio, cessate il fuoco (detta comunemente tregua), la scelta degli obiettivi militari, la proibizione delle armi in grado di produrre inutili sofferenze, il divieto di porre in essere atti di perfidia, cioè i comportamenti atti a trarre in inganno l’avversario sfruttando la protezione fornita dal Diritto internazionale, come ad esempio la violazione della bandiera bianca, l’accettazione della resa e il trattamento dei prigionieri di guerra, il divieto di aggredire intenzionalmente i civili, la disciplina dei crimini di guerra e la proibizione a usare armi di distruzione di massa.
Poiché le convenzioni di diritto umanitario contengono anche norme comportamentali, si è così creata una convergenza tra il diritto bellico e il diritto umanitario.
Giurisdizione
Le accuse di violazione delle Convenzioni di Ginevra da parte delle nazioni firmatarie sono portate di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia a L’Aia, la più alta giurisdizione tra Stati esistente nell’attuale sistema del diritto internazionale.
Per gli Stati parte dello Statuto di Roma, comunque, vi è anche la possibilità di perseguire gli autori materiali della violazione del diritto bellico, quando essa costituisce un crimine di guerra: lo Statuto, in questo caso, incardina la giurisdizione complementare della Corte Penale Internazionale dell’Aja, che subentra laddove lo Stato territoriale non voglia perseguire i responsabili o si dimostri incapace di farlo.