Musei di Milano

Milano possiede un notevole tesoro artistico ripartito in più collezioni; la città è un centro estremamente vitale di mostre e attività culturali, con iniziative e centri d’apprendimento legati alla storia e alla scienza.

La Pinacoteca di Brera è sicuramente la galleria d’arte più completa e celebre di Milano: ospita al suo interno una collezione tra le più ricche al mondo, contenendo opere dei più importanti artisti del panorama italiano e internazionale, dal quattordicesimo al ventesimo secolo. La più antica galleria d’arte milanese è invece la Pinacoteca Ambrosiana, fondata nel seicento dal cardinale Federico Borromeo assieme alla Biblioteca Ambrosiana, che espongono il Musico e il Codice Atlantico Leonardo da Vinci, oltre alla celebre Canestra di Caravaggio.

La casa Bagatti Valsecchi, che ospita una collezione d’arte e di oggetti d’arredo rinascimentali tra le meglio conservate d’Europa, fa parte del circuito delle case museo milanesi assieme al Poldi Pezzoli (arte dal rinascimento all’Ottocento), villa Necchi Campiglio, edificata nel 1935 da Portaluppi, e casa Boschi di Stefano, con opere dal Razionalismo al dopoguerra.

Il Museo del Costume Moda Immagine espone all’interno degli appartamenti settecenteschi di Palazzo Morando la collezione di moda e costume dei Musei Civici e le vedute storiche di Milano.

Il Palazzo Reale, in sinergia con il Palazzo della Ragione e la rotonda della Besana, è la principale sede espositiva di mostre temporanee.

Il castello Sforzesco è invece sede di musei permanenti, come il Museo d’arte antica, con la Pietà Rondanini di Michelangelo e la Sala delle Asse di Leonardo, il Museo degli strumenti musicali, il Museo del mobile, la collezione d’Arti applicate e una pinacoteca che raccoglie oltre 200 dipinti della pittura italiana dal XIII al XVIII secolo], con capolavori di Canaletto, Antonello da Messina, Mantegna, Tiziano.

Dal 2010 gli spazi museali cittadini si sono arricchiti del Museo del Novecento, posto nel palazzo dell’Arengario di piazza del Duomo, dopo una complessa ristrutturazione a cura dell’architetto Italo Rota, e delle Gallerie di piazza Scala, ospitate all’interno di Palazzo Brentani e Palazzo Anguissola, con opere dedicate all’Ottocento e al Novecento italiano appartenenti alla Fondazione Cariplo, che costituiscono parte del progetto Gallerie d’Italia. La Galleria d’Arte moderna ospitata nella Villa che fu la reggia di Napoleone e dei Savoia, espone i maestri dell’Ottocento quali Hayez, Segantini, Pelizza da Volpedo, e i cosiddetti Scapigliati.

Milano non ha un museo di arte contemporanea; nella promozione e nel sostegno alla produzione artistica più giovane ricoprono un ruolo fondamentale la Triennale, che ospita mostre temporanee e il Museo del Design, i centri d’arte e le istituzioni senza scopo di lucro, tra i quali  Fondazione Prada, Fondazione Trussardi, e le gallerie d’arte commerciali.

Il patrimonio archeologico dalla preistoria all’età romana è esposto principalmente al Museo archeologico  (C.so Magenta) presso i resti dell’antico Circo, oltre che all’Antiquarium  (Via De Amicis) nel parco dell’Anfiteatro, mentre alla storia della Milano Cristiana sono dedicati il Museo diocesano e il Museo dell’Opera del Duomo.

Museo del ‘900

Tra i musei a carattere scientifico si possono annoverare il museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia, celebre tra le altre cose per la mostra permanente su Leonardo da Vinci e il sottomarino Enrico Toti, e il Museo Civico di Storia Naturale, il più grande museo di storia naturale italiano e tra i più importanti musei naturalistici d’Europa.

Museo di storia naturale

Nell’autunno del 2011 è stato inaugurato il nuovo Museo Interattivo del Cinema (MIC) che ha sostituito il precedente Museo del Cinema. L’attuale nuova sede è situata in viale Fulvio Testi e occupa parte dei locali della vecchia Manifattura Tabacchi. Il museo oltre a contenere un’esposizione di storici dispositivi legati alle immagini in movimento si caratterizza per una dotazione di postazioni interattive, presso i quali è possibile visionare parte dei materiali dell’archivio della Fondazione Cineteca Italiana.

Il 27 gennaio del 2013 è stato inaugurato il Memoriale della Shoah, situato sotto il binario 21 della Stazione Centrale, dove, dopo l’occupazione nazista, centinaia di ebrei venivano caricati su vagoni bestiame diretti ai campi di concentramento. Paragonabile ai pochi luoghi “reali” e ancora esistenti in Europa delle atrocità naziste, i luoghi del Memoriale e l’adiacente binario 21 sono stati definiti “un grande reperto”, una sorta di “scavo archeologico”.

 

Musei d’arte

Cortile della pinacoteca di Brera.

 

Musei del Castello Sforzesco di Milano

Le seguenti collezioni fanno parte del polo museale del Castello Sforzesco:

  • Biblioteca d’Arte del Castello Sforzesco
  • Biblioteca Trivulziana
  • Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli”
  • Civiche Raccolte d’Arte Applicata
  • Civico Archivio Fotografico
  • Museo Archeologico – Sezione della Preistoria e Protostoria
  • Museo Archeologico – Sezione Egizia
  • Museo d’Arte Antica
  • Museo degli Strumenti Musicali
  • Museo dei Mobili e delle Sculture Lignee
  • Museo delle Arti Decorative
  • Museo Pietà Rondanini – Michelangelo
  • Pinacoteca del Castello Sforzesco

 

Musei a carattere scentifico

Museo della Scienza e della Tecnologia, chiostro

  • Acquario civico di Milano
  • Civico planetario “Ulrico Hoepli”
  • Museo civico di storia naturale
  • Museo nazionale della scienza e della tecnologia “Leonardo da Vinci”

Musei a carattere storico

  • Antiquarium di Milano
  • Casa Manzoni
  • Civico museo archeologico di Milano
  • La Vigna di Leonardo
  • Memoriale della Shoah
  • Museo del Risorgimento di Milano
  • Museo Mangini Bonomi
  • Museo Martinitt e Stelline
  • Museo storico dei Vigili del fuoco di Milano
  • Museo teatrale alla Scala
  • Palazzo Morando – Costume Moda Immagine

 

Altri musei

  • Armani Silos
  • Fondazione Prada
  • Centrale dell’Acqua di Milano
  • MIC – Museo Interattivo del Cinema
  • Museo Collezione Branca
  • Museo d’arte e scienza
  • Museo delle illusioni
  • Museo del Profumo
  • Museo della Macchina da scrivere
  • Museo Delle Culture (Mudec)
  • Museo Mondo Milan
  • Museo Louis Braille
  • Museo Popoli e Culture
  • Pirelli Hangar Bicocca
  • Studio Museo Achille Castiglioni
  • Studio Museo E. Treccani
  • Studio Museo Franco Albini
  • Civico museo-studio Francesco Messina
  • Studio Museo Vico Magistretti
  • San Siro Museum
  • WOW Spazio Fumetto

 

LA GIUNTA COMUNALE APPROVA I CONTENUTI DEL PIANO STRATEGICO

La Giunta del Comune di Milano ha approvato i contenuti del piano strategico “1 Città, 20 Musei, 4 Distretti”, dando mandato alla Direzione Cultura di proseguire nello studio di fattibilità organizzativa ed economica del progetto di creazione di distretti museali urbani, finalizzato alla nascita di un nuovo management culturale della città.

Il progetto prevede un processo di riorganizzazione dei musei civici che mira alla creazione di quattro distretti museali, situati in altrettante zone della città, caratterizzate da un’elevata concentrazione di istituzioni museali e culturali.

In particolare, vengono individuate in base al criterio della prossimità geografica quattro aree nelle quali inserire 23 musei civici: Sempione (Castello Sforzesco, Museo Archeologico, Acquario civico), Duomo (Palazzo Reale, Museo del Novecento, Museo del Risorgimento, Palazzo Morando, Palazzo della Ragione, Studio Museo Messina), Giardini (GAM, PAC, Museo di Storia Naturale, Planetario, Casa Museo Boschi-Di Stefano, Palazzo Dugnani), Ansaldo (Mudec). All’area Ansaldo afferiscono anche i progetti speciali CASVA, Arte negli Spazi Pubblici, Casa della Memoria, Reti e Cooperazione Culturale.

L’obiettivo del piano è duplice: da un lato mira a rendere più efficiente il sistema museale civico verso l’esterno grazie a un’offerta culturale cittadina integrata anche con gli istituti culturali non civici presenti nei distretti; dall’altro implica un riassetto organizzativo interno delle direzioni, in modo da garantire un migliore svolgimento dei processi interni e quindi maggiore qualità dei servizi erogati. Inoltre, la gestione integrata delle politiche culturali potrà connettersi più efficacemente alle strategie di sviluppo urbanistico, economico e sociale dei rispettivi territori, diventando il motore di una crescita armonica per ciascun ambito territoriale.

La ricerca è stata cofinanziata da Fondazione Cariplo ed è stata svolta dalla Direzione Cultura del Comune di Milano insieme a Fondazione scuola dei beni e delle attività culturali e al Gruppo di ricerca ASK – Bocconi. La ricerca per la redazione del Piano è stata svolta da PTSCLAS.

 

Museo Bagatti Valsecchi

Il Museo Bagatti Valsecchi è una dimora storica ubicata nel quartiere Montenapoleone, nel centro di Milano. “Palazzo Bagatti Valsecchi”, che ospita il museo, fu acquistato dalla Regione Lombardia nel 1975 ed è fra le più importanti e meglio conservate case museo d’Europa. Da ottobre 2008 è parte del circuito “Case Museo di Milano”.

 

Storia

La Galleria delle Armi

Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi, di Varedo, concepirono insieme il progetto di costruire una dimora in cui abitare ispirata ai palazzi signorili del Quattro e Cinquecento lombardo e di arredarla con oggetti d’arte rinascimentale. A questo scopo i due fratelli decisero di ampliare il palazzo milanese di famiglia (attuale sede del Museo) alla fine dell’Ottocento.

L’unicità del progetto dei fratelli Bagatti Valsecchi stava nel voler creare un insieme (in architettura definibile col termine tedesco Gesamtwerk) assolutamente armonico, in cui l’edificio, le decorazioni fisse e i preziosi oggetti d’arte collezionati con passione contribuissero in uguale misura alla fedeltà dell’ambientazione rinascimentale tuttora imprescindibile dalle collezioni (tra cui, per esempio, opere di Giovanni Bellini, Gentile Bellini, Giampietrino e Lorenzo di Niccolò).

La cultura ottocentesca che si riflette nella casa di Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi era impegnata a ricercare nel passato l’ispirazione per le proprie manifestazioni artistiche. I due fratelli però, discostandosi dalla strada più battuta, non combinarono spunti attinti da epoche differenti. Piuttosto che verso l’eclettismo, indirizzarono le loro preferenze a suggestioni e oggetti del Rinascimento (v. Neorinascimento), in linea del resto con il programma culturale varato dalla giovane monarchia sabauda all’indomani dell’Unità d’Italia.

Descrizione

La Camera Rossa

Il Museo Bagatti Valsecchi, aperto al pubblico dal 1994, è una casa-museo fra le più importanti e meglio conservate d’Europa. A reggerla è una fondazione privata, voluta dagli eredi Bagatti Valsecchi nel 1974 per esporre al pubblico le collezioni d’arte rinascimentale e gli oggetti d’arredo rinascimentale e neorinascimentale raccolti negli ultimi decenni del XIX secolo dai fratelli Fausto e Giuseppe per arricchire la propria casa.

L’accoglienza ai visitatori si avvale per ogni stanza del Museo di dettagliate schede mobili redatte in italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo e giapponese, e di schede mappa rivolte ai bambini per consentire loro di seguire un percorso storico – artistico imparando giocando. È possibile prenotare visite accompagnate da guide qualificate per bambini in italiano e per adulti in italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo e russo.

Il Museo Bagatti Valsecchi è gestito dalla Fondazione Bagatti Valsecchi – ONLUS, ente di diritto privato di cui, dal 15 febbraio 2021, riveste la carica di Presidente Camilla Bagatti Valsecchi. Pier Fausto Bagatti Valsecchi ha guidato l’omonima fondazione per 26 anni e ne è oggi Presidente Onorario. Negli anni il Consiglio di Amministrazione ha incluso anche Vittorio Sgarbi, in rappresentanza della Regione Lombardia.

Il Museo Bagatti Valsecchi è una casa museo frutto di una straordinaria vicenda collezionista di fine Ottocento, che ha come protagonisti due fratelli: i baroni Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi.

A partire dagli anni ottanta del XIX secolo, i due fratelli si dedicarono alla ristrutturazione della dimora di famiglia situata nel cuore di Milano: un palazzo tra via del Gesù e via Santo Spirito, oggi al centro del quadrilatero della moda. Parallelamente, i due fratelli iniziarono a collezionare dipinti e manufatti d’arte applicata quattro-cinquecenteschi con l’intento di allestirli nella loro casa così da creare una dimora ispirata alle abitazioni del Cinquecento lombardo.

Fausto e Giuseppe si impegnarono in prima persona nel restyling del Palazzo ispirato al Rinascimento: laureati in giurisprudenza, non sfruttarono mai a fini professionali il proprio titolo di studio, ma dedicarono tempo e risorse alla ristrutturazione della dimora di famiglia, alla sua decorazione e alla raccolta delle opere d’arte a essa destinate.

La predilezione per quell’epoca era peraltro in linea con il programma culturale varato dalla monarchia sabauda all’indomani dell’Unità d’Italia; proprio nel Rinascimento si individuava il momento cui guardare per la costruzione di una nuova arte nazionale, ingrediente indispensabile per il consolidamento di quell’identità comune ancora troppo debole.

Uniti e affiatati, i due avevano in realtà personalità molto differenti: brillante e mondano Fausto, più riservato e maggiormente incline alla quiete domestica Giuseppe. Proprio a quest’ultimo sarebbe spettato dare continuità alla famiglia grazie ai cinque figli nati dal suo matrimonio con Carolina Borromeo, celebrato nel 1882.

Se tante energie vennero rivolte all’allestimento della dimora tra via Gesù e via Santo Spirito, per il resto la loro esistenza trascorse tra le attività e le incombenze consuete a gentiluomini del loro rango e del loro tempo.  All’amministrazione dei propri beni, affiancarono l’impegno verso numerose istituzioni benefiche, la partecipazione alla vivace vita cittadina, i viaggi in Italia e all’estero, la pratica dell’equitazione e altre curiose passioni sportive, quali le ascensioni in pallone aerostatico e il velocipede.

Dopo la morte di Fausto e di Giuseppe, casa Bagatti Valsecchi continuò a essere abitata dai loro eredi sino al 1974, quando l’ormai settantenne Pasino, uno dei figli di Giuseppe, decise di costituire la Fondazione Bagatti Valsecchi, alla quale donò il patrimonio delle opere d’arte raccolto dai suoi avi.

 

Casa-museo Boschi Di Stefano

La Casa-Museo Boschi Di Stefano è una dimora storica di Milano. È situata al secondo piano di un edificio di via Giorgio Jan al numero civico 15.

La dimora storica

Lo stabile fu edificato tra il 1929 ed il 1931 sotto la supervisione dell’architetto Piero Portaluppi – già progettista di Villa Necchi Campiglio – dall’impresa Di Stefano e Radici: Francesco Di Stefano era il padre della destinataria dell’alloggio, Marieda Di Stefano (19011968).

Dal febbraio 2003 la dimora storica è aperta al pubblico e da ottobre 2008 fa parte del circuito delle “Case museo di Milano”: vi è esposta una selezione di oltre duecento opere pittoriche della collezione appartenuta, assieme all’abitazione, alla stessa Marieda e al marito Antonio Boschi (18961987), che fecero della casa un museo abitato.

Architettonicamente, il palazzo che ospita la pinacoteca si distingue all’esterno per la caratteristica struttura “ad angolo”, mentre gli interni – tanto delle parti in comune quanto degli appartamenti – sono arricchiti, secondo lo stile tipico di Portaluppi, da ampie vetrate ed eleganti ringhiere in stile art déco.

Dal 16 maggio 2009 la Casa-Museo, di proprietà del Comune di Milano, è visitabile a titolo gratuito dal martedì alla domenica dalle 10 alle 17.30 grazie anche alla presenza dei Volontari per il Patrimonio Culturale lombardi del Touring Club Italiano.

Dal 2017 è visitabile anche l’ex Scuola di Ceramica di Marieda di Stefano, al piano terra dell’edificio, sede di mostre temporanee.

La collezione

La collezione Boschi Di Stefano fu donata al Comune di Milano nel 1973 e rappresenta una testimonianza dell’arte novecentesca (segnatamente fra gli anni 1910 e gli anni 1960) con le sue 1817 opere. Alla fine degli anni 90, dopo anni di stallo, da Assessore alla Cultura del Comune di Milano, Philippe Daverio permise di sbloccare il contenzioso tra gli eredi Boschi e il Comune. Mercedes Garberi fa risalire a gli anni 1929-30 i primi sistematici acquisti di opere da parte dei coniugi Boschi che potevano contare sull’iniziale assistenza del suocero, Francesco Di Stefano, che nel 38 lasciò in eredità un nucleo consistente di opere (265).

Eri un ingegnerino di Novara, passato indenne dalla grande guerra come dirigibilista, e poi due anni a Budapest, nelle ferrovie. Un tecnico, di quelli puri. Quando però la cultura tecnica non escludeva quella artistica: amavi la musica, suonavi il violino, ti interessavi d’arte. Prerogativa degli ingegneri del “noster politeknik”, come lo chiamava affettuosamente un tuo coetaneo, ingegnere e artista, Carlo Emilio Gadda. Volevi tentare la carriera militare, come tuo padre. Poi in una vacanza in val Sesia incontrasti Marieda. Stesse passioni, stessa visione del mondo. Il vostro fu l’amore di una vita, condiviso fino all’ultimo giorno. La passione per l’arte Marieda l’aveva ereditata dal padre, Francesco, altro uomo concreto, costruttore edile, eppure collezionista di oggetti preziosi e di opere del gruppo Novecento, movimento incoraggiato in quegli anni da Margherita Sarfatti. Uomo d’affari e di gusto, stava costruendo un nuovo quartiere dalle parti di Corso Buenos Aires, chiamato così pochi anni prima dal sindaco, durante l’Esposizione Universale del 1906. Case per il ceto imprenditoriale, la nuova borghesia meneghina che non trovava spazio dentro i bastioni occupati dalla vecchia aristocrazia che viveva di rendita di posizione. Condomini di qualità, da mettere sul mercato, ché si sa, come dicono i francesi, “quando l’edilizia va, l’economia va”.Già che c’era, in via Jan, Francesco costruì anche un intero palazzo per la sua famiglia: cinque figli, cinque piani. Una casa per ogni figlio. Chiamò a progettarla Piero Portaluppi, architetto di culto in quegli anni per la Milano che conta.    Vi siete sposati nel 1927. Avete vissuto tutta la vita al secondo piano di quell’edificio, elegante e un po’ eccentrico, con quel bovindo d’angolo che fa da cerniera alla cassa muraria rivestita di marmi preziosi. Tu, Marieda, amavi la ceramica. Avevi preso lezioni nello studio di Luigi Amigoni. Era la tua ossessione. Inutile combatterla, bisognava assecondarla. Avresti voluto aprire una scuola, avere una fornace, come raccontavi alla figlia di Amigoni, Migno, amica tua fin dagli anni Trenta. Anche perché a Milano erano così rari i luoghi dove cuocere le terre. Bisognava andare giù, alla Conchetta sul Naviglio Pavese, da Curti, dove s’era trasferito il secolo prima, da Ripa di Porta Ticinese (e prima ancora stava alle colonne di San Lorenzo. Fornace storica, artigiani milanesi da mezzo millennio, che hanno eseguito e cotto mattoni, formelle e fregi ovunque, dalla Ca’ Granda fino alla Certosa di Pavia).

Villa Necchi Campiglio

Villa Necchi Campiglio è una dimora storica (casa museo) che fa parte del circuito delle “Case museo di Milano”. Situata in via Mozart al civico 14, fu costruita tra il 1932 e il 1935 come casa unifamiliare indipendente sul progetto di Piero Portaluppi, uno dei più grandi architetti italiani di quel periodo, ed è circondata da un ampio giardino con campo da tennis e piscina, la seconda piscina (dal punto di vista cronologico) di Milano dopo quella municipale, e la prima ad essere realizzata su un terreno privato.

Fra le personalità che vi sono state ospitate figura Enrico d’Assia, scenografo per il Teatro alla Scala, veniva alloggiato durante i suoi soggiorni nel capoluogo lombardo in una stanza denominata in suo onore Camera del principe. Esisteva anche la Camera della principessa, riservata alla principessa Maria Gabriella di Savoia, grande amica delle sorelle Necchi.

Storia

La zona in cui si trova la villa, pur essendo adiacente al centro della città, alla fine dell’Ottocento era ancora in gran parte occupata da giardini e orti privati. La sua edificazione ebbe inizio nel 1890-92 con la costruzione dell’Istituto dei Ciechi, e proseguì in seguito dopo l’apertura delle nuove vie Mozart, Serbelloni e Barozzi, in seguito a una convenzione stipulata nel 1907 tra il Comune di Milano e la contessa Antonietta Sola-Busca, proprietaria del palazzo e giardino Serbelloni. Le aree intorno alla Via Mozart (che tagliava il giardino Serbelloni), interamente verdi, furono edificate a partire dal 1926 in base a un piano di lottizzazione elaborato dall’architetto Aldo Andreani.

La camera da letto di Nedda Necchi

L’area, centrale ma tranquilla e alberata, apparve assai attraente ad Angelo Campiglio e alle sorelle Necchi, che, originari di Pavia, desideravano un’abitazione a Milano. Acquistato il terreno intorno al 1930, la progettazione della nuova casa fu affidata all’architetto Piero Portaluppi, e la costruzione avvenne tra il 1932 e il 1935 ad opera dell’Impresa Gadola. La casa fu concepita come residenza elegante ma confortevole, e moderna sia nello stile sia negli impianti e attrezzature (come testimoniano la presenza di ascensore e montavivande, citofoni e telefoni, piscina riscaldata).

A partire dal 1938, e per circa un ventennio, i Necchi Campiglio si avvalgono dell’architetto Tomaso Buzzi, a cui vengono commissionati la sistemazione dell’esterno e poi il rifacimento dell’arredo di alcuni locali, in uno stile ispirato all’arte settecentesca, più morbido ed elaborato rispetto all’essenzialità degli ambienti originari di Portaluppi.

Durante la seconda guerra mondiale la famiglia sfollò nella villa di Barasso nel Varesotto, e la casa di Milano fu requisita e divenne la residenza-comando di Alessandro Pavolini. Dopo la caduta della repubblica di Salò fu occupata dagli inglesi e poi fu residenza del console dei Paesi Bassi; la famiglia ne riebbe il possesso dopo qualche anno.

Angelo Campiglio morì nel 1984; le sorelle Nedda e Gigina morirono nel 1993 e nel 2001. Non avendo figli, le sorelle si preoccuparono di trovare una destinazione adeguata alla casa, e la lasciarono in eredità al FAI. La villa è stata sottoposta a restauro sotto la direzione dell’architetto Piero Castellini. Le opere hanno richiesto oltre tre anni di lavoro e una spesa di circa sei milioni di Euro. Al termine dei lavori, la villa è stata aperta al pubblico nel maggio 2008.

Nel 2009 nella villa è stato girato il film di Luca Guadagnino Io sono l’amore. Nel film, che racconta una vicenda fittizia, ad abitare la dimora è la ricca famiglia milanese dei Recchi, il cui nome è evidentemente stato ispirato da quello dei proprietari originari della villa.

I Necchi Campiglio

I proprietari erano esponenti dell’alta borghesia industriale lombarda colta, ed il loro tenore di vita è testimoniato dall’edificio, progettato e costruito senza limiti di budget, dallo stile architettonico nascente (il razionalismo italiano), dalle ampie e luminose sale di cui la dimora si compone, dagli arredamenti, dalle arti decorative e dalla evoluta ed ardita competenza artigianale dei manufatti.

I Necchi Campiglio – segnatamente le sorelle Gigina (1901-2001) e Nedda Necchi (1900-1993) e Angelo Campiglio (1891-1984), marito di Gigina – furono attivi nell’imprenditoria fra gli anni venti e la fine degli anni sessanta, in particolare nel segmento della produzione di ghise smaltate e macchine da cucire (il celebre marchio Necchi).

 

Descrizione

Vano scale

Sala da pranzo

Biblioteca

All’interno del circuito delle Case Museo di Milano, villa Necchi Campiglio si distingue dalle altre dimore trattandosi di una casa unifamiliare indipendente e non di un palazzo come quelli che ospitano il Museo Poldi Pezzoli e il Museo Bagatti Valsecchi e neppure di un appartamento come quello dei Boschi Di Stefano, il cui allestimento è peraltro dovuto allo stesso progettista Portaluppi.

La villa è arretrata rispetto alla strada, per garantire la tranquillità e la riservatezza degli abitanti e degli ospiti. Sulla strada si affaccia invece un piccolo edificio separato adibito a portineria e rimessa, collegato alla villa da un passaggio sotterraneo.

Il disegno rigoroso di linee e superfici che caratterizza anche l’ambiente esterno alla villa è tributario rispetto all’allora nascente razionalismo, mentre gli interni sono caratterizzati da elementi di art déco.

Il piano rialzato è destinato a locali di ricevimento e rappresentanza; il primo piano alle camere; il sottotetto agli alloggi per la servitù; il seminterrato a locali di servizio e per lo svago dei padroni di casa.

Piano seminterrato

Nel seminterrato si trovavano la cucina (non originale: l’impianto è stato ricostruito), la dispensa, la sala da pranzo per la servitù con arredi originali, altri locali di servizio fra cui gli spogliatoi e le docce per il campo da tennis e una sala da biliardo. Una delle sale del seminterrato ospita una ricostruzione del primo tavolo della Sala da pranzo al piano rialzato e viene oggi adibita a eventi e conferenze. In un’altra sala del seminterrato è ospitata una mostra fotografica permanente sulla storia della Villa, dei padroni di casa, dei progettisti e del quartiere.

Piano rialzato

L’ingresso principale immette in un grande atrio pavimentato in noce e palissandro. A sinistra, si accede alla biblioteca, dal caratteristico soffitto con decorazioni a stucco a forma di losanga, dotata di ampi scaffali in palissandro e tavoli da gioco. Oltre la biblioteca si trovano la veranda-giardino d’inverno, con due pareti interamente finestrate e pavimento in travertino e marmo verde, e il salone, riarredato da Tomaso Buzzi (probabilmente negli anni cinquanta del Novecento) in uno stile ricco ed elaborato d’ispirazione settecentesca. Dall’atrio a destra si accede al fumoir, salottino anch’esso riarredato da Buzzi, in cui spicca un grande camino di gusto rinascimentale, e da lì alla sala da pranzo, con pareti rivestite in pergamena e soffitto a stucco con motivi naturalistici e astrologici. Anche in questo locale l’arredamento originario di Portaluppi è stato sostituito da quello di gusto settecentesco progettato da Buzzi, e alle pareti sono stati appesi arazzi di Bruxelles del XVI-XVII secolo. Adiacenti alla sala da pranzo si trovano due locali di servizio, collegati da montavivande alla cucina seminterrata, la scala di servizio, e un locale detto “fuciliera” perché vi sono esposti i fucili da caccia dei proprietari, ma in origine destinato a spogliatoio per gli ospiti. Ancora dall’atrio si accede all’ufficio di Angelo Campiglio, con pavimento e pareti rivestiti in legno e una caratteristica scrivania ovale prodotta dall’ebanista toscano Giovanni Socci.

Primo piano

Dall’atrio la scala con balaustra a doppia greca conduce al primo piano, la cui parte centrale è occupata da un ampio disimpegno. A destra si trovano i due appartamenti padronali, disposti simmetricamente ai lati di un corridoio con pareti-armadio e volta a botte decorata con un motivo a rete. Ciascuno dei due appartamenti (a sinistra quello di Gigina e Angelo Campiglio, a destra quello di Nedda) comprende un ampio spogliatoio, una stanza da bagno con rivestimento in marmo, e una camera da letto.

Dal disimpegno centrale si accede alle due camere per gli ospiti, entrambe dotate di bagno privato: la più piccola è detta camera del Principe perché vi alloggiava Enrico d’Assia quando era ospite dei Necchi-Campiglio. L’altra (nell’angolo sud-ovest dell’edificio) è detta camera della Principessa perché era utilizzata da Maria Gabriella di Savoia, amica delle sorelle Necchi; oggi vi si trova esposta la collezione de’ Micheli. Adiacenti alla camera della Principessa sono due locali destinati a guardaroba e stireria, e la stanza della guardarobiera (che, conformemente agli usi dell’epoca, era l’unica persona della servitù ad alloggiare al piano riservato ai padroni). Essa doveva anche essere a disposizione 24 ore su 24.

Secondo piano e sottotetto

Nel sottotetto si trovavano tre camere per la servitù, un bagno e un salottino. Oggi questi locali sono usati per esposizioni e conferenze.

 

 

Collezioni

Il Giardino d’inverno

La villa è stata donata al Fondo Ambiente Italiano dalle sorelle Necchi, prive di eredi, e dal 2008 è aperta al pubblico. Magnifica opera d’arte in sé, è arricchita da numerosi dipinti, sculture, arredi e altri oggetti di pregio, in parte acquistati dai Necchi Campiglio quando vi abitavano, e in parte donati successivamente al FAI, che li ha collocati nella casa. Tra le donazioni al FAI spiccano la raccolta del primo Novecento di Claudia Gian Ferrari e la raccolta di dipinti e arti decorative del XVIII secolo di Alighiero ed Emilietta De Micheli.

Dispersa è andata invece la raccolta di pezzi di arte novecentesca curata personalmente da Nedda Necchi che conteneva, fra l’altro, opere di Jean Arp, Gianni Dova, Lucio Fontana, Roberto Crippa, Mario Sironi, René Magritte: fu venduta da Nedda in tarda età per finanziare la ricerca dell’Istituto dell’amico Umberto Veronesi, ma conservò per la sua importanza, ancora presente nella sua camera da letto della Villa Museo, la sola opera del pittore Giuseppe Amisani dal titolo “Il Cardinale Richelieu” olio su tela ca. 1890-1910 catalogata dal Beni Culturali della Lombardia.

 

Collezione Claudia Gian Ferrari

Assegnata in deposito permanente al FAI dalla gallerista e storica dell’arte Claudia Gian Ferrari, comprende quarantaquattro dipinti, disegni e sculture di artisti italiani del primo Novecento, tra cui Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà (Natura morta con libri), Giorgio de Chirico (Oreste ed ElettraRitratto di Alfredo Casella), Filippo de Pisis (Natura morta con la lepre), Arturo Martini (L’amante morta]Busto di fanciulla), Giorgio Morandi (Natura morta, due esemplari), Mario Sironi (La famiglia del pastore), Adolfo Wildt (Il puro folle). Tutte le opere sono collocate nelle stanze del piano rialzato.

Collezione Alighiero ed Emilietta de’ Micheli

Alighiero de’ Micheli (1904-1995), industriale tessile, fu Presidente dell’Assolombarda, Presidente di Confindustria (1955-1961) e Cavaliere del Lavoro, nonché amministratore di numerose società industriali e bancarie (il Lanificio di Somma lombardo, il Cotonificio di Spoleto, la Banca di Credito Artigiano e il Banco di Sicilia), membro dell’Istituto di politica internazionale e dell’Università Bocconi e appassionato collezionista. Lasciò al FAI per legato testamentario la sua collezione, che comprende oltre 130 capolavori del XVIII secolo, tra cui dipinti (Canaletto, Tiepolo e Rosalba Carriera), mobili francesi, ceramiche lombarde, porcellane cinesi e rare miniature di Jean-Baptiste Isabey. La collezione, in un allestimento curato dall’architetto Filippo Perego che rispecchia il gusto della collocazione originaria, è custodita in una sala di Casa Necchi Campiglio.

Rampolle  di quella borghesia colta e illuminata  milanese dei primi decenni del 1900 esse sposarono il dr. Campiglio o meglio Gigina sposo’ il giovane medico Campiglio,  che però visse per tutta la vita con la moglie e la sorella di lei sotto lo stesso magnifico tetto (una specie di compri uno e prendi due). Il suocero del giovanotto, cui non dovette sembrar vero di sistemare in un sol colpo entrambe le fanciulle, lo ricompensò offrendogli di amministrare la grande fonderia di famiglia, accanto alla quale fu poi avviata anche la fabbrica di macchine per cucire. I giovani sposi con annessa sorella/cognata fecero edificare la loro dimora milanese, dopo averne scelto il luogo una sera che, usciti da uno spettacolo alla Scala, nel nebbione meneghino più fitto,  avevano perso le tracce dell’autista e, girovagando a piedi nei dintorni,  si imbatterono in un’area ricca  di vegetazione intricata e selvaggia, un luogo fantastico che innamorò subito la giovane Nedda e i suoi congiunti.

Girare per quegli ambienti ti fa vivere un piccolo viaggio nel tempo e nel raffinato gusto dell’epoca, ma anche immaginare un rapporto speciale, quello tra le sorelle Necchi che dovettero essere legate per tutta la vita da una loro intesa intima e profonda.  Così, mentre passi dal giardino alle stanze del piano terra,  “vedi” le due giovani con i loro ospiti, i libri, le collezioni d’arte, il loro sguardo sulle alte magnolie nel giardino d’inverno; al primo piano puoi quasi spiarne l’intimità, vissuta con signorile discrezione. Qui infatti vi è un lungo corridoio le cui pareti nascondono enormi armadi a muro su cui si affacciano, da un lato e dall’altro, perfettamente simmetriche,  le stanze da letto e da bagno dei due coniugi e di Nedda. Anche qui accorgimenti architettonici idonei a proteggerne la privatezza, persino dalle intrusioni della servitù, come la doppia porta che dal bagno dà nel corridoio,  dove i padroni di casa appendevano la biancheria sporca che così poteva essere ritirata senza entrare in camera da letto.
Su questo piano vi è anche una suite per gli ospiti, dove le Necchi hanno ospitato importanti personaggi e artisti, e spesso la principessa Maria Gabriella di Savoia (che  perciò è denominata la stanza della principessa); vi è inoltre una stanza per l’unica cameriera ammessa a dormire sul piano  e altri due ambienti di servizio. Negli armadi interni alle camere ci sono ancora appesi gli abiti delle signore Necchi, sui mobili i loro oggetti personali e da toilette.
Non vi sono invece in casa le opere d’arte del ‘900 collezionate dalla famiglia, pitture e sculture di elevato valore, perché l’intera collezione fu venduta dalle Necchi per sostenere la ricerca sul cancro di Umberto Veronesi, del quale furono molto amiche e ferree sostenitrici.
La villa fu sempre abitata dai Necchi-Campiglio, salvo che negli anni della guerra, quando l’invasione tedesca li costrinse ad abbandonare Milano e la dimora  fu requisita per diventare il quartier generale del ministro della Cultura Popolare, Alessandro Pavolini. La casa però dovette incutere rispetto anche agli uomini del Regime, perché non fu vandalizzata.  Mi piace pensare che si respirava in essa quella speciale signorilità delle sue proprietarie che non era il mero frutto della loro forza economica quanto quello della  nobiltà dei  sentimenti  e delle idee.

Certamente però il ritorno della famiglia dovette essere traumatico, tant’è che essa mise mano a  lavori di rimaneggiamento. Già in precedenza erano state apportate modifiche alla casa dall’architetto Buzzi, di stampo abbastanza diverso dal Portaluppi, che inserì nel contesto alcuni elementi di stile più classico e tradizionale. Il mix finale che ancora oggi si può ammirare è comunque assai interessante e molto gradevole.
Le opere d’arte che sono in casa, per le ragioni spiegate, non sono quelle appartenute ai Necchi-Campiglio ma quelle frutto di altre due donazioni al Fai dalle famiglie De Micheli e Gian Ferrari,  alcune delle quali di inestimabile valore (per esempio un Canaletto e un Tiepolo).
Della collezione familiare, rimane solo un piccolo olio di Giuseppe Amisani,  dal quale Nedda non si volle separare e forse nessuno ne conosce la ragione.

Le due inseparabili sorelle erano di carattere molto diverso: Gigina aperta e portata alle relazioni sociali, Nedda riservata e in ombra, venivano per questo soprannominate “le gigine “ dalla sempre irridente Milano (che pur ne apprezzò sempre lo spirito),  ma delle due era proprio Nedda la vera appassionata di arte quindi è forse a lei che si deve un tale imperdibile capolavoro.

 

Del  Museo “Poldi Pezzoli”  facente parte del circuito CASE – MUSEO parleremo in un incontro dedicato.

 

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