BAHAMAS

Come primo resoconto di viaggio racconterò di questo magnifico arcipelago nel Mar dei Caraibi dove sono stata due volte. E vi mostrerò con le mie foto tutta la sua bellezza. A differenza di altre mete dei miei viaggi, alle Bahamas sono andata non tanto per turismo bensì perché la mia unica nipotina Rita Mae Leah, pur essendo nata in Italia,  ha vissuto là i primi tre anni della sua vita. Il suo papà, nonché mio genero – son in low  – è infatti bahamense. Ha un ristorante, molto tipico, in riva all’Oceano: lo “Smoke Pot”,  nome pittoresco e un po’ ambiguo, ma vi garantisco che l’unico fumo che aleggia è quello che si leva dalle pentole in cucina!

E alle Bahamas mi sento particolarmente legata. 

Inquadro il paese. Stato insulare dell’America Centrale costituito da 700 isole e isolette situate nell’Oceano Atlantico a est della Florida, a nord di Cuba e del resto dei Caraibi. La sua capitale, Nassau, è più o meno di fronte a Miami a circa 50 minuti di volo dalla città della Florida e dove, chi se lo può permettere, va a fare lo shopping. Alle Bahamas la lingua ufficiale è l’inglese; tutt’ora fanno parte del Commonwealth e hanno ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito nel 1973. La valuta è il dollaro delle Bahamas (ca.0,88 Euro).

New Providence e Paradise Island sono le isole più famose e sono collegate da un ponte; sulla prima sorge la capitale Nassau e sulla seconda il grande e lussuoso resort Atlantis.

Dopo un volo da Milano Malpensa durato circa 12 ore arrivo a Miami e, dopo un’attesa di un paio d’ore prendo la coincidenza per Nassau, capitale dell’arcipelago. L’alternativa può essere: Milano – Londra e poi Londra – Nassau; in ogni caso il volo non è mai diretto. Uno stormo di “flamingo” (fenicotteri rosa) – animale simbolo delle Bahamas – mi dà il benvenuto all’aeroporto di Nassau.

Uscendo dall’aeroporto respiro una calda, accogliente e spensierata aria caraibica che mi fa capire che  qui ci starò proprio bene. Per non dire che il motto “Bahamas no problem!” fa subito capire la filosofia di vita adottata da queste parti.

Nassau si snoda tra oceano e lagune;  sulle sponde di quest’ultime sorgono signorili “compounds” composti da ville più o meno grandi e quasi tutte con piscina; chi non ne ha una propria può usufruire di quelle a disposizione di tutti gli occupanti  del compound. Potete vedere nelle foto che seguono l’ingresso di un compound e la laguna su cui lo stesso si affaccia.

Nassau Laguna

La foto che segue mostra quella che sarà la mia abitazione durante il soggiorno a Nassau, proprio a Sandyport.

I compounds sono sorvegliati h 24 da guardie private e si entra solo se conosciuti. Chi attende visite deve comunicare al personale delle guardiole agli ingressi nome, cognome di chi è atteso e quante persone. Se ci sarà qualche variazione sulla comunicazione data in precedenza, il personale di portineria citofonerà per avere l’autorizzazione al lasciapassare.

A questo punto è necessaria una riflessione.

Perché? Va bene la sicurezza…ma non è un po’ troppo? Lo è. La popolazione delle Bahamas ha un tenore di vita molto basso e un reddito procapite altrettanto basso. Stride paurosamente con le enormi ricchezze di  molti americani ed europei  che hanno scelto di risiedere lì in quanto paradiso fiscale. E hanno ovviamente tutto quello che si può desiderare e moltodi più. Ville con piscina, panfili, babysitter (dette “Nenni”) a tempo pieno che si occupano dei loro figli, cliniche di lusso dove farsi curare, a Sandyport c’è persino la scuola ovviamente frequentata dai figli dei ricchi residenti, autisti che portano le signore a fare la spesa, ecc…

Spiegabile, badate, non dico accettabile, pensare che chi fa fatica a fare la spesa, che chi può curarsi solo negli ospedali pubblici dove il personale medico e infiermeristico è bravo e fa miracoli, ma le strumentazioni sono obsolete e i farmaci scarsi! e di conseguenza anche le cure sono inadeguate, insomma avete capito le differenze…., dicevo è spiegabile come la tentazione di pareggiare i conti contribuisca a creare  una diffusa micro delinquenza che può facilmente degenerare in gravi atti di violenza.

La gente è comunque gioiosa e accogliente, nonostante le differenze tra i ceti sociali che, va detto, è un aspetto molto grave, eticamente parlando: non  dovrebbe più esistere un luogo dove i ricchi sono troppo ricchi e i poveri troppo poveri. Purtroppo questo “status” vige ancora in tanti altri paesi del mondo! Le bellezze naturali dei luoghi, la mitezza dei climi, il carattere accogliente dei vari popoli e, perché no? anche le normative fiscali,  dovrebbero generare un turismo risorsa per tutti e non appannaggio solo di alcuni.

E nella “foto gallery” che vedrete poi, noterete anche un’altra cosa molto carina: in tutti i villaggi, anche sulle isole, dove vi dicevo che la vita è molto semplice, dicevo in tutti i villaggi c’è una “Little free library” (piccola libera libreria) dove chi vuole porta i libri che a loro non servono più e altri li prendono, li leggono, li riportano liberamente, nel più grande rispetto delle cose a disposizione di tutti.  

Torniamo al resoconto del viaggio.

Dopo aver neutralizzato il cambio di fuso orario ( – 6 ore rispetto all’Italia) con un paio di giorni di riposo in piscina e brevi passeggiate tra i bei viali di Sandyport, oggi vado in centro.

Nassau è una bella città con grandi viali fiancheggianti l’oceano e ricca di architetture di epoca coloniale. 

Fu fondata a metà del XVII secolo da un nobile inglese che le diede il nome di Charles Town, in onore del re Carlo II d’Inghilterra; dapprima poco più che un villaggio, venne rasa al suolo dagli Spagnoli nel 1684 durante una delle loro frequenti lotte contro gli Inglesi. Ricostruita nel 1695 sotto il governatore Nicholas Trott fu ribattezzata Nassau in onore di Guglielmo III, della casata di Orange-Nassau,  “stadtholder” olandese (carica esistita dalla metà del XV sec.al 1795 nella regione dei Paesi Bassi con la quale veniva designato il luogotenente civile del sovrano) e poi re d’Inghilterra. Nel XVIII secolo fu un popolare rifugio per i pirati dei Caraibi, in particolar modo per il famoso Barbanera. Vi fu un periodo in cui pare desse rifugio a più di 1.000 pirati a fronte di un centinaio di abitanti.

Tra il 1703 e il 1720 fu conquistata con alterne vicende da inglesi e spagnoli; successivamente conobbe un vero e proprio periodo di boom economico. Coi fondi derivati dalle spedizioni corsare, la città costruì un nuovo forte, sistemò l’illuminazione stradale e costruì 2 300 abitazioni lussuose, estendendo così la città. Vennero inoltre bonificate le locali paludi. Altri tentativi di invasione si verificarono, anche da parte degli Americani, finchè, nel corso della Guerra Civile Americana, Nassau servì da porto per bloccare i mercanti della Confederazione Sudista che commerciavano coi porti del nord. Negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso Nassau divenne nuovamente famosa durante il periodo del  proibizionismo  come sede di mercati neri.

E arriviamo ai giorni nostri.

Allora come non ricordare che le Bahamas sono state  “set” di numerosi film della saga di 007? Sean Connery in “Thunderball, operazione tuono” (1965) e “Mai dire mai” (1983); Roger Moore in “La spia che mi amava” (1977) e infine – per ora – Daniel Craig in “Casino Royale” (2006).

Degno di nota è anche il Junkanoo o Jonkonnu o John canoe o Koonering. E’ una sfilata in maschera con musica e balli simile ad una sfilata carnevalesca, con incerta data di origine (1500/1600 o 1700/1800)  e che si svolge tradizionalmente nel  periodo natalizio, il giorno di Santo Stefano o di Capodanno, ma che da tempi recenti vede il suo svolgimento anche d’estate.

L’etimologia della parola non è certa :

  • secondo alcuni studiosi, deriverebbe dalla parola francese gens inconnu, ovvero “gente sconosciuta” (cioè “mascherata”);
  • secondo altri studiosi deriverebbe dal nome di un rituale delle popolazioni Maya;
  • secondo altri, deriverebbe invece dal nome di una divinità africana (non dimentichiamo che la maggior parte degli abitanti dei Caraibi discende dagli schiavi deportati dal Continente Nero in epoca coloniale);
  • secondo altri ancora, deriverebbe dal nome di un capo tribù  di nome John Canoe o da quello di un proprietario di schiavi;
  • altri studiosi lo fanno invece derivare dal nome di un capotribù deportato che riuscì con successo a ribellarsi agli Inglesi.

L’usanza deriva da una festa che gli  schiavi celebravano durante il periodo natalizio poiché in quel periodo dell’anno venivano concessi loro tre giorni di libertà, durante i quali  usavano girare in maschera di casa in casa camminando  spesso sui  trampoli.

Fu abolito nel  1942 a causa dei tumulti che portarono alla soppressione delle sfilate; ma fu reintrodotto nel  1947.

La sfilata si svolge solitamente all’alba e vi partecipa un migliaio di persone.

I partecipanti sono muniti di tamburi in pelle di capra, fischietti, campanacci, ecc. Al termine della sfilata vengono assegnati alcuni premi, tra cui quello per la miglior musica e quello per il miglior costume.

Mi accorgo di non aver menzionato la cucina delle Bahamas. Oibò! Rimedio subito.

La cucina alle Bahamas è una fusione di sapori precolombiani, europei e africani, con il pesce e i frutti di mare come ingredienti protagonisti. 

Tra i piatti principali troviamo il conch, (si legge conc)  in italiano strombo, un mollusco dalla carne soda che può essere consumato: crudo, con spezie e lime; fritto o cotto al vapore. Se ne fa largo uso, ma questo sta portando all’estinzione della conchiglia rosa delle Bahamas entro la quale vive il conch. O forse questa affermazione fa parte della nostra cultura più che della realtà? A pensarci bene: son secoli che mangiano il conch e ancora ce n’è!!!!

Poi la “souse” , una zuppa preparata con acqua, lime, cipolle, sedano  peperoni e carne.

Amatissima è anche la rock lobster, un’aragosta tipica dell’arcipelago che viene cotta al vapore e aggiunta alle insalate; oppure cotta alla griglia accompagnata con verdure tra le quali spiccano i tipici fagioli caiani, il callaloo (tipo spinaci) e i pigeonspeas (tipo piselli)

Dopo essermi goduta per qualche giorno la capitale,  lascio New Providence e mi trasferisco su un’altra delle numerose isole dell’arcipelago, non prima però di avervi elencato  le più turistiche e conosciute: ABACO (una catena lunga quasi 200 km di isole – la più grande “Great Abaco” –  e isolette coralline disseminate nell’oceano),  ELEUTHERA,  EXUMA (l’isola dei maialini, addomesticati e liberi sulla spiaggia), GRAND BAHAMA, LONG ISLAND.

Inutile dire che mare cristallino (paradiso dei sommozzatori e degli “snorkelers), immense spiagge bianche e incontaminate (Treasure Cay  ad Abaco è stata nominata dalla rivista National Geographic tra le 10 spiagge più belle del mondo!), verdi foreste (ideali per gli amanti del trekking), isolette collegate come Green Turtle Caydedicata alle bellissime tartarughe verdi e Great Guana Cay, dedicata alle  iguane che la popolano (entrambe fanno entrambe parte della catena di ABACO) sono gli aspetti che contraddistinguono, in un modo o nell’altro,  questi luoghi meravigliosi.

Io andrò a CAT ISLAND, letteralmente”l’isola del gatto” e alloggerò in un resort formato da  “cottages” in riva all’oceano e che vedrete nella “foto gallery” che seguirà; molto distanti l’uno dall’altro, privacy e tranquillità assicurate, quattro passi, letteralmente quattro, e sei in mare. Questo è il Paradiso?

L’isola potrebbe aver preso il nome da Arthur Catt, un pirata, o potrebbe essere un riferimento a quella che un  tempo era una numerosa popolazione di gatti selvatici.

Cat, oltre ad avere come le isole sorelle le consuete spiagge incontaminate  – e qui tendenti al rosa! –  e un mare meraviglioso, ha un primato:  ospita anche il punto più alto della nazione, il Monte Alvernia (precedentemente noto come Como Hill). Raggiunge, udite udite,  i 63 metri (207 piedi): non è proprio il Monte Bianco, ma arrivando in aereo è a volte possibile identificarlo, essendo comunque il punto più elevato di Cat e di tutte le Bahamas. Sulla sommità del Monte Alvernia vi è un monastero chiamato The Hermitage . Questo complesso di edifici fu eretto dal francescano “Frate Girolamo” ( John Hawes ).

Storicamente, l’isola ha guadagnato ricchezza dalle piantagioni di cotone ma l’agricoltura  è ora il principale modo di vivere per gli abitanti dell’isola di Cat. Una coltura economica è la corteccia di cascarilla,  che viene raccolta e spedita in Italia dove diventa un ingrediente principale di medicinali, profumi e del “Campari”.

Per molto tempo si è  ritenuto  che Cat Island fosse  San Salvador, la prima isola in cui il navigatore Cristoforo Colombo  sbarcò scoprendo le Americhe: “Terra, terra” Ricordate?  Poi sono stati rinvenuti resoconti scritti che hanno fatto dubitare della cosa. Piace ancora pensarlo, ma non se ne ha più la certezza.

Cat è un’isola lunga e stretta con una superficie di 386 Km quadrati ed è servita da due aeroporti, uno a nord e uno a sud, di cui sotto vedrete un paio di foto; il centro principale è Arthur’s Town dove c’è anche il porto e dove la nave – cha parte da Nassau quando ha raggiunto il pieno carico e dunque senza orari e giorni certi – arriva  a Cat carica soprattutto di merci; ricordo che Julian, mio genero, volendo portare a Cat un’ auto per poterci poi spostare sull’isola, per alcuni giorni ha dovuto andare quotidianamente al porto di Nassau per sapere se quel giorno la nave sarebbe salpata oppure se bisognava attendere ancora.

Per i Bahamensi è cosa normale; nemmeno si arrabbiano.

Ed ora lustratevi gli occhi.

Come avrete notato le ultime due foto si riferiscono al mio viaggio di ritorno da Cat Island a Nassau dove avrò giusto il tempo di fare le valige; poi volo per Miami e coincidenza per Milano.

Lascio le Bahamas con un po’ di malinconia perché qui sono stata davvero bene: l’allegria, la semplicità, il senso di ospitalità della sua gente mi hanno fatto scoprire una filosofia di vita che rende tutto più leggero  e  che farò in modo di non perdere.

Ce la farò? Mah! Una cosa è certa: ritornerò senz’altro! Bahamas ….a presto.

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